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Nel settore del fitness l’alimentazione è tenuta in grande considerazione e costituisce anzi una parte essenziale al punto che, non di rado, è possibile leggere affermazioni che attribuiscono a tale elemento un ruolo centrale ai fini del risultato (sia esso estetico o di performance), arrivando a fare affermazioni che spiazzano per il loro tenore di sicurezza e secondo cui l’alimentazione ha un ruolo pari al 70% controun 30% connesso con l’allenamento. Che si affermi tale rapporto, o rapporti leggermente diversi, si tratta in ogni caso di un elemento che non poggia su alcun dato reale, su nessuna ricerca validata, ma solo su modi di dire che paiono diventare reali a forza di ripeterli.
Questo non significa che l’alimentazione non abbia un ruolo cruciale, tutt’altro! E’ un pilastro essenziale sul quale poggia e grazie al quale si erge tutto il resto, senza tuttavia possedere tali virtù percentuali. La ragione è presto intuibile: se si vuol diventare più forti in un dato esercizio, ovvero incrementare il parametro forza di 10Kg attraverso alimentazione e allenamento corretti, se l’alimentazione avesse un ruolo del 70%, occorrerebbe poter incrementare il proprio massimale di 7kg esclusivamente modificando la propria alimentazione, cosa che evidentemente non accadrà. Idem se si intende diventare più veloci, o più muscolosi, fatto 10 l’incremento ricercato, si dovrebbe ottenere un miglioramento pari a 7 con la sola alimentazione. Nulla di tutto questo potrà avvenire neppure in piccola misura percentuale grazie a ciò che si mangia, malgrado fantomatiche attribuzioni percentuali.
Ogni adattamento implica uno stimolo allenante che è anzi ragione esclusiva, ossia il 100% delle cause, per effetto delle quali tale adattamento si verifica. Vero è che una corretta alimentazione può coadiuvare i risultati, ma anche con una pessima alimentazione (a patto di seguire un corretto allenamento) si può incrementare la propria forza, la propria muscolatura, perfino la propria resistenza e velocità in termini percentuali, mentre non può accadere il contrario, ossia migliorare tali parametri in assenza di allenamento ma con una alimentazione corretta. Anzi, posto che l’alimentazione (pur scorretta) resti invariata, l’introduzione di regolari e adeguate sessioni allenanti può produrre un calo ponderale unico elemento che, sebbene non in modo ottimale, può avvenire anche solo modulando l’alimentazione e in assenza di allenamento.
Pertanto da dove possano emergere i valori percentuali sopracitati non è dato saperlo, ma la convinzione che siano reali è ugualmente diffusa. Si badi bene, poiché non sarà ulteriormente ribadito, che non si sta sottovalutando il ruolo dell’alimentazione che è anzi stato definito come pilastro portante, ma non si vuol neppure attribuire una virtù che non possiede, non nel semplicistico modo in cui viene proposta.
In questo clima di ricerca ossessiva del cibo perfetto (condizione per altro ascrivibile all’ortoressia), fiorisce tutto un mercato di cibi ritenuti fitness e definiti nell’ambiente “puliti”, proprio a individuare una ristretta cerchia di alimenti che possiedono non solo virtù specifiche ai fini del risultato, ma che sono anche contraddistinti dal resto degli alimenti “non puliti” e colpevolmente usati dai sedentari. Gli alimenti “puliti” sono arcinoti in ambito fitness e divengono il primo suggerimento che gli utenti più anziani forniscono ai neofiti, redarguendo che con una alimentazione differente i risultati non giungeranno e sarà compromessa anche la salute. Come spesso accade tuttavia è vero esattamente il contrario.
Il cibo “non pulito” è per contro consentito una volta a settimana nelle giornate definite di “sgarro”, all’interno delle quali è possibile mangiare quasi tutto convinti (anche qui con logica semplicistica) che una giornata senza regole contrasta un fantomatico calo del metabolismo. La giornata di sgarro è invece per lo più una valvola di sfogo per l’assetto emotivo, per tirare il fiato a causa di una imposta rigidità che non sarebbe altrimenti sostenibile. Inutile soffermarsi su quanto simili atteggiamenti espongano nel lungo periodo ad un isolamento sociale e a potenziali disturbi del comportamento alimentare, poichè è già difficoltoso analizzare le incongruenze con le quali si affibbia l’etichetta di cibo pulito.
L’elenco dei cibi “fit” è relativamente corto e questo segnala l’ennesimo problema, ossia la monotonia delle scelte alimentari che, nel lungo periodo, rischia di compromettere l’apporto di micronutrienti amplificando contestualmente i rischi di potenziali contaminanti che si sommano proprio perché si introducono sempre le stesse cose. Non occorre tuttavia credere che gli alimenti di seguito elencati vadano eliminati, anzi alcuni sono assolutamente essenziali e non sostituibili, l’intento è sottolineare che i cibi “puliti” non esistono e che ogni alimento, se introdotto in modo sconsiderato e in grandi quantità, può provocare effetti avversi tutt’altro che “fit”.
Acqua
Sembra strano che l’acqua possa essere inclusa in un simile elenco, né sarebbe ipotizzabile pensare di eliminare o ridurre l’apporto idrico oltre il dovuto. L’acqua infatti non presenta alcun problema in quanto tale ma rischia di diventarlo quando, al fine di ottenere non si sa bene quale effetto, viene suggerito di berne più possibile, sino a 4/6 litri al giorno e anche di più, indipendentemente dalle caratteristiche del soggetto, dalle condizioni atmosferiche o dall’entità della sudorazione, ma proprio come quota di base per tutti aspettandosi effetti taumaturgici di tipo dose-risposta. Quantità la cui introduzione è evidentemente, oltre che pericolosa per le ragioni che andremo a vedere, anche difficoltosa per i motivi che è possibile immaginare. Nascono non a caso dei prodotti in grado di aromatizzare l’acqua conferendo decine di gusti differenti a zero calorie. Questi prodotti saranno anch’essi di seguito analizzati.
Che l’acqua sia fondamentale per la vita e la sopravvivenza è evidente, che bere meno del necessario (ad esempio a causa di eventuali problemi tipici di alcune fasce d’età) sia assolutamente rischioso e da correggere è altrettanto noto a tutti. Il problema è quando si suggerisce di bere quantitativi sconsiderati di acqua senza una ragione reale e verificata.
Se la quota introdotta non è compensata da adeguati livelli di sodio si rischia il fenomeno dell’iponatriemia, che si può presentare con nausea, vomito, mal di testa, crampi, rabdomiolisi (danneggiamento delle cellule muscolari), stato confusionale, sino a poter evolvere verso condizioni cliniche molto più gravi come il coma, le convulsioni e l’arresto respiratorio. Tutti fenomeni tanto più probabili quanto minore è il lasso di tempo entro il quale si introduce l’acqua. Sebbene la condizione di iponatriemia è spesso secondaria ad altre problematiche, una di queste può essere proprio l’eccessiva e ingiustificata introduzione di acqua con intenti connessi al mondo del fitness, tanto più se diviene una condotta frequente e in assenza di un bilanciamento elettrolitico.
Secondo alcuni ricercatori[1] l’introduzione sistematica e sovradimensionata di acqua determina anche un reset delle capacità celebrali di segnalare con idonei stimoli che si sta superando la quota accettabile, e questo può condurre nel lungo periodo anche a ulteriori ripercussioni che possono portare a casi di potomania. Non di meno a livello ormonale occorre considerare che nelle ore notturne aumenta il rilascio di ADH (ormone antidiuretico), ma l’elevata quota di liquidi può comprometterne l’efficacia dato che prevale l’esigenza di riequilibrare i livelli idrici, con conseguente disturbo del sonno e compromissione sistematica del recupero.
Pertanto, solo per evitare fraintendimenti, è certamente necessario bere, è fondamentale accertarsi di bere a sufficienza, tanto più in persone che praticano attività sportiva o che si trovano in particolari condizioni climatiche ma, escludendo esigenze cliniche, forzare oltre misura la quota da introdurre inverte la curva dei benefici in direzione di un aumento dei rischi.
Aromatizzanti dell’acqua
Conferiscono un gusto decisamente più gradevole alle bevande rendendo più agevole l’introduzione di grandi quantità di acqua, al contempo appagano il palato con un sapore dolce che, a causa della rigida alimentazione, diviene un elemento fortemente ricercato a livello emotivo in modo più o meno consapevole. Questi aromatizzanti attraggono anche perché il contenuto energetico è decisamente basso e tendente alle zero calorie, vera ossessione del mondo fitness.
I problemi degli aromatizzanti dell’acqua sono differenti, e anche in questo caso non ci si riferisce ad un utilizzo “standard” più o meno infrequente, ma all’introduzione continua e sistematica. Anzitutto incrementano con maggiore facilità la quota di liquidi introdotti con i potenziali effetti già segnalati. In secondo luogo dall’analisi degli ingredienti è chiaramente visibile che quasi tutti contengono sucralosio e acesulfame K, entrambi dolcificanti artificiali che permettono di tenere bassa la quota calorica.
In merito al sucralosio vi è il sospetto che oltre determinati quantitativi possa esporre al rischio di leucemie, ragione per la quale il Center for Science in the Public Interest americano ha declassato il sucralosio da “sicuro” a “prodotto da usare con cautela” sino alla più recente indicazione “da evitare”. A onor del vero è da segnalare che lo studio da cui emergeva tale riscontro[2], condotto in Italia, è stato successivamente ritenuto non adeguato da parte dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare[3], ma permangono altri elementi di seguito chiariti.
Per quanto riguarda l’acesulfame K, malgrado i timori, ad oggi nessuna ricerca ha dimostrato possa avere degli effetti avversi per la salute, tuttavia esistono dei limiti consigliati riguardo le quantità giornaliere da introdurre.
Tornando al sucralosio vi sono dei dati[4] che, sebbene meritino certo ulteriori conferme, sembrerebbero individuare una risposta insulinica a seguito della sua introduzione, senza che vi sia la reale necessità di abbassare i livelli di zuccheri circolanti, esponendo potenzialmente a forme di insulino-resistenza del tutto analoghe a quanto accade in soggetti in sovrappeso e obesi e, nel lungo periodo, ai medesimi rischi di natura metabolica. Rischio a quanto pare aumentato nei soggetti già in sovrappeso e obesi, come emerge da una ricerca della George Washington University, che potrebbero essere erroneamente attratti dalla possibilità di usare tali prodotti in sostituzione di altri più calorici. Con dosi in circolo di sucralosio corrispondenti a quelle presenti in circa 4 lattine di bevande si osserva una maggiore espressione genica proinfiammatoria e lipogenica[5].
Come se non bastasse, altre ricerche[6] ad opera del team de Duke University Medical Center, evidenziano che il sucralosio può interferire sul microbiota intestinale, sulla secrezione ormonale e sul metabolismo dei farmaci interferendo con il complesso della citocromo P450. Anche volendo tralasciare quest’ultimo elemento, in quanto correlato con il concomitante uso di farmaci che non è certo una costante, l’alterazione del microbiota (già dopo 12 settimane di uso del prodotto) può esporre a cascata a numerosissime conseguenze tra le quali una maggiore vulnerabilità ai patogeni e modificazioni nell’assetto lipidico
Burro di arachidi
La palatabilità del burro di arachidi è riuscita a penetrare le resistenze verso i cibi grassi, notoriamente poco amati in ambito fitness, sebbene da qualche anno si cominci finalmente a riconoscere le differenze tra i lipidi e quindi individuare quelli salubri, utili, addirittura essenziali, da quelli prettamente calorici e perfino aterogeni.
Il burro di arachidi, complice anche la produzione e vendita da parte di aziende attive nel commercio di integratori a uso sportivo, la scelta di testimonial ad hoc, ha infranto le remore e ha iniziato a circolare nell’ambiente. Prova tra l’altro che spesso chi vende e chi promuove un prodotto esercita un fascino differente sul target finale, fintanto il burro di arachidi è stato venduto solo nelle corsie dei supermercati accanto alle creme spalmabili alla nocciola nessuno dell’ambiente fitness se ne è curato. Nulla di male in ogni caso rispetto ad un consumo misurato e non troppo frequente, situazione opposta se l’introduzione diviene regolare e i quantitativi non proprio esigui. Al netto di aspetti qualitativi, parametro che riguarda ogni possibile prodotto e che può solo peggiorare le caratteristiche dell’alimento quando la materia prima è di bassa qualità, il burro di arachidi presenta ugualmente degli elementi critici.
Anzitutto, sebbene ogni azienda produttrice affermi di effettuare controlli scrupolosi, il rischio di contaminazione del burro con aflatossine è un elemento concreto e reale. Le aflatossine sono metaboliti prodotti da alcuni funghi e rappresentano uno dei più marcati fattori di rischio di incorrere in mutazioni e tumori, soprattutto a carico del fegato, organo spesso già metabolicamente stressato da altre abitudini alimentari tipiche del mondo del fitness. Sono prodotti che resistono anche ai processi di pastorizzazione e sterilizzazione che le inattivano solo parzialmente conservando così la loro pericolosità. Essendo effetti di tipo dose-risposta, anche su questo fronte appare evidente come un consumo ragionevole sia esente da rischi.
In secondo luogo il burro di arachidi è naturalmente ricco di acido palmitico, un acido grasso saturo a lunga catena noto per la sua marcata presenza anche nel tristemente celebre olio di palma. L’acido palmitico è un grasso aterogeno, capace cioè di incrementare il rischio di aterosclerosi e delle sue più nefaste conseguenze (infarto e ictus). Anche per l’acido palmitico non è il caso di fare terrorismo fine a se stesso, e come per ogni altro elemento citato è sempre la quantità a fare la differenza, quantità che comunque andrebbe correlata non solo in senso assoluto ma anche assieme a tutti gli altri aspetti dell’alimentazione.
È possibile infatti trovare studi apparentemente controversi riguardo tale alimento che, ad una lettura superficiale rischiano di ingenerare confusione. Ad esempio il burro di arachidi sembrerebbe in grado di prevenire l’adenocarcinoma gastrico negli anziani, almeno stando ad uno studio[7] condotto su oltre 480.000 soggetti di età media pari a 62 anni e con un’assunzione quotidiana di circa 10g di burro di arachidi. Quantità davvero piccola che, a prescindere da effetti benefici, di sicuro non si può ipotizzare che abbia effetti avversi. Quando tale dose comincia a crescere molto e frequentemente, è evidente che i dati in gioco si modificano e con essi il rapporto rischio/benefici. Questo studio apparentemente contraddittorio non lo è affatto, analogamente si possono ritrovare altri studi che ad una lettura superficiale potrebbero indurre in errore o, peggio, far considerare che se 10g di burro d’arachidi sono considerati salutari, allora 50g lo siano ancora di più.
Infine tutto quanto detto fin qui vale per burro di arachidi che non sia addizionato con sale o emulsionanti poiché in tal caso il discorso, e gli effetti, differiscono ulteriormente.
Gallette di riso e riso
Le gallette di riso rappresentano una pratica base sulla quale spalmare altri prodotti (es.: il burro di arachidi), o da usare in sostituzione del pane. Anche per questo prodotto saranno tralasciati aspetti qualitativi connessi alla materia prima analizzando i rischi al netto di tutto, sebbene si suggerisca sempre di controllare gli ingredienti del prodotto acquistato, perché non è insolito trovare additivi incompatibili con le proprie scelte alimentari, siano esse volute (es.: presenza di derivati della lavorazione animale) o dovute (es.: presenza di glutine).
Gli elementi imputati in questo prodotto sono l’arsenico e l’acrilammide, entrambi con ripercussioni gravissime sulla salute.
L’arsenico inorganico è naturalmente presente nel riso in quantità più elevate rispetto ad altri alimenti per via della particolare modalità con la quale viene coltivato, e va ricordato che lo stesso riso è uno dei prodotti più frequentemente utilizzati nei pasti di chi si allena, generalmente abbinato a pollo o tonno. L’aggiunta delle gallette di riso non fa altro che amplificare il fenomeno della sommazione fin qui citato numerose volte, incrementando le potenziali ricadute avverse sulla salute. Anche in questo caso attenzione a non leggere in maniera errata il concetto, che non è un allarme nei confronti del riso e quindi la sua messa al bando, ma ancora una volta l’invito a variare utilizzando pasta (per altro presente con decine di differenti farine, incluse quelle di legumi), patate e altre fonti glucidiche. L’arsenico inorganico, oltre al rischio di neoplasie è chiamato in causa per lesioni cutanee, danni cardiovascolari, diabete. Le linee guida segnalano come il consumo di riso sia esente da rischi a patto di non consumarlo tutti i giorni più volte al giorno. Cosa assai frequente soprattutto nel mondo delle palestre, cui si aggiunge la quota derivante dalle gallette di riso.
L’acrilammide invece viene prodotta quando alimenti ricchi di carboidrati subiscono cottura alle alte temperature, ha anch’essa elevato grado di cancerogenesi ed è nota soprattutto per la sua presenza nelle patatine fritte, alimento che verosimilmente determina la maggiore assunzione. Il processo produttivo delle gallette determina purtroppo la presenza di acrilammide in misura variabile, e certamente un loro uso marcato espone agli effetti dose-risposta della sostanza.
Bresaola
Se si chiedesse ad un pilota di Formula 1 di indicare un elemento essenziale per la resa dell’automobile direbbe la benzina. Analogamente per un atleta dovrebbero essere le fonti energetiche, ossia i carboidrati in primo luogo. Tuttavia l’errata idea che più proteine provochino una crescita muscolare maggiore, la convinzione che non facciano ingrassare, i timori infondati sull’introduzione di carboidrati nella fascia serale, espone gli amanti del fitness alla costante ricerca di prodotti proteici a basso contenuto di grassi. Tra i salumi non insaccati l’interesse ricade in primo luogo sulla bresaola che, oltre ad essere altamente proteica, è probabilmente tra i salumi più magri in assoluto. Come tutte le carni lavorate anche la bresaola contiene nitriti e nitrati necessari (sebbene sostituibili con altro) alla sua conservazione. Proprio nitriti e nitrati sono gli elementi da porre sotto la lente di ingrandimento, e in particolare i nitriti che hanno la capacità di legare l’emoglobina (la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue) compromettendo la sua funzione. Quando si legano alle ammine, prodotti organici tipici degli alimenti proteici, generano nitrosamine, unanimemente ritenute tra i più pericolosi agenti cancerogeni, in particolare per lo stomaco, ma anche per altri organi bersaglio.
A onor del vero anche l’arricchimento del terreno di coltivazione (ma non solo quello) determina la presenza di considerevoli quote di nitrati anche nei vegetali che però, grazie alla presenza di micronutrienti impedisce la conversione nei più pericolosi nitriti, così come la carenza di ammine non permette la produzione di nitrosamine.
Tonno
Il tonno rappresenta l’equivalente acquatico della bresaola, ossia un alimento riccamente proteico, a bassissimo contenuto di grassi, di facile conservazione, trasporto e consumo. E’ certamente un’ottima fonte proteica, ma anch’esso presenta una serie di rischi dovuti al consumo troppo frequente. Per ogni altro prodotto si è sin qui scelto di soprassedere sul concetto di “qualità della materia prima”, anche perché è difficile conoscere la provenienza e la modalità di conservazione delle arachidi destinate alla produzione del burro, così come conoscere l’esatto contenuto di arsenico nel riso usato per la produzione delle gallette.
Nel caso del tonno c’è un sistema empirico che è facilmente applicabile e si basa sulle dimensioni della scatoletta. Scatolette troppo piccole mal si prestano a contenere un trancio di tonno, e spesso sono riempite con le parti di scarto di porzioni più pregiate e compatte usate per le scatolette più grandi. A parità di tonno ingerito, sotto il profilo qualitativo, è quindi preferibile un trancio intero e ben riconoscibile.
Detto questo, il tonno è purtroppo tra gli alimenti con il maggior contenuto di metilmercurio, la forma organica e tossica la cui presenza a livello significativo è tipica dei prodotti ittici. Il tonno, come altri predatori (es.: il pesce spada) trovandosi infatti al vertice della catena alimentare, accumula spontaneamente metilmercurio in origine assorbito dalle alghe, quindi acquisito da pesci erbivori, e da questi trasferito ai pesci carnivori di grossa taglia, proprio come il tonno. Di conseguenza maggiore è la taglia del tonno o la sua età, maggiore è la quota di metilmercurio che contiene.
Quando il metilmercurio arriva all’uomo, e quando vi giunge in quantità e frequenza elevata, inizia a manifestare gli effetti avversi tipici dell’avvelenamento da mercurio che si ripercuotono in prima istanza sul sistema nervoso ma non soltanto, provocando nei casi più gravi i medesimi sintomi della sclerosi multipla.
Conclusioni
Prima di concludere il discorso, è necessario sottolineare che per ogni alimento si è messo da parte il discorso qualità, elemento che può incidere in modo anche significativamente gravoso sulla salute del consumatore. A tal proposito è opportuno spendere pochissime righe per segnalare altri 2 alimenti di largo uso e abuso nel mondo del fitness: pollo e albumi d’uovo. Anche questi alimenti normalmente ottima fonte di proteine e apparentemente senza rischi, divengono potenziali alimenti contaminati quando il desiderio di introdurne grandi quantitativi spinge inevitabilmente il consumatore alla ricerca di prodotti a basso costo, la cui provenienza e modalità di produzione sono stati spesso caratterizzati da amare vicende di contaminazione ad esempio col fipronil (un insetticida) per quanto riguarda le uova.
In conclusione preme sottolineare che evidenziare i problemi esposti sin qui non scaturisce dal desiderio di fare il consueto terrorismo alimentare, già troppo frequente sui media e finalizzato a confondere ulteriormente piuttosto che fare chiarezza, e non a caso ogni elemento di potenziale rischio è stato presentato con l’uso del condizionale, pur citando le fonti dalle quali emergono le considerazioni. Questo perché è difficile trovare alimenti, anche tra quelli ritenuti “naturali” (termine dal significato discutibile e improprio se non nell’accezione popolare), che a fronte di un consumo marcato non presentino qualche problema. Si vuole semmai sottolineare il paradosso che l’ossessiva ricerca di alimenti FIT, non fa altro che dirigere il consumatore verso prodotti che quasi sempre prevedono elaborate manipolazioni industriali e presentano un grado di rischio potenziale maggiore rispetto agli alimenti considerati “non fitness”. Una dieta quotidianamente basata su gallette di riso, burro di arachidi, riso, tonno e bresaola, significa esporsi quotidianamente ad arsenico, aflatossine, metilmercurio, acrilammide, nitriti e nitrati che, se in dosi elevate sono singolarmente rischiosi, alle medesime quantità e tutti assieme divengono una bomba a orologeria. Si finisce con l’impoverire la propria dieta in termini di varietà e si accumulano i rischi da overdose di alcuni elementi avversi che, in un impiego “normale”, difficilmente potrebbero raggiungere livelli tali da risultare dannosi. In altri termini ci si espone, con le dovute proporzioni, a quanto accadde a Qin Shi Huang Di, primo imperatore e unificatore della Cina antica che, convinto delle virtù di eterna giovinezza del mercurio, morì proprio per avvelenamento da tale metallo che assumeva sottoforma di pillole di polvere di giada in cui veniva volontariamente mischiato. Il primo morto da alimenti ritenuti “fit” che la storia ricordi.
- [1] Mark Whiteley, medico chirurgo founder della Whiteley Clinic (Londra)
- [2] Soffritti M, et. al, Sucralose administered in feed, beginning prenatally through lifespan, induces hematopoietic neoplasias in male swiss mice, International Journal of Occupational and Environmental Health
- Volume 22, 2016 – Issue 1
- [3] Statement on the validity of the conclusions of a mouse carcinogenicity study on sucralose (E 955) performed by the Ramazzini Institute, EFS Journal, Volume15, Issue5, May 2017
- [4] M. Yanina Pepino, Courtney D. Tiemann, Bruce W. Patterson, Burton M. Wice and Samuel Klein, Sucralose Affects Glycemic and Hormonal Responses to an Oral Glucose Load, Diabetes Care 2013 Apr; DC_122221.
- [5] EurekAlert, Consuming low-calorie sweeteners may predispose overweight individuals to diabetes, https://www.eurekalert.org/pub_releases/2018-03/tes-cls031418.php data ultima consultazione 27/02/2019
- [6] Susan S. Schiffman1 and Kristina I. Rother2, Sucralose, A Synthetic Organochlorine Sweetener: Overview of Biological Issues, J Toxicol Environ Health B Crit Rev. 2013 Sep; 16(7): 399–451.
- [7] Hashemian M. et al., Nut and peanut butter consumption and the risk of esophageal and gastric cancer subtypes, Am J Clin Nutr. 2017 Sep;106(3):858-864